Varsavia 19-22 settembre 2021

LA NOSTRA MISSIONE COMUNE DI

SALVAGUARDIA
DEI FIGLI DI DIO

CONFERENZA DELLA CHIESA IN EUROPA CENTRO-ORIENTALE

Testimonianza: P. Tarsycjusz Krasucki OFM

Testimonianza: P. Tarsycjusz Krasucki OFM


Sono qui a offrirvi la mia testimonianza. Vi dirò dunque quello che ho vissuto. Ma per prima cosa devo confessarvi che essere testimone non mi fa piacere. Mi fa venire in mente, infatti, il calvario che ho passato come testimone nel procedimento canonico.

Quella che vi offro oggi e’ la testimonianza di una vittima, ma nel processo canonico figuravo solo come testimone, perché la procedura di diritto canonico continua a non essere in grado di garantire a chi e’ stato vittima di abusi sessuali uno status speciale. All’autore degli abusi su di me era garantito il diritto alla difesa, a conoscere i fascicoli della causa e a partecipare attivamente al processo. Io invece, in qualità di testimone, avevo solo diritto a raccontare quanto mi era accaduto.

Solo quando sono intervenute le autorità della mia congregazione religiosa, molti anni dopo che il processo era stato avviato, mi e’ stato permesso di avvalermi dell’assistenza di un avvocato. E’ chiaro che questo privilegio mi è stato concesso in quanto sono un religioso. Per cui mi sentivo anche imbarazzato nei confronti delle altre vittime che continuano ad essere solo testimoni, e non una delle parti del processo. Per questo motivo non mi piace essere testimone, non ho dei bei ricordi …

*

E’ successo nell’inverno del 1993, poche settimane dopo che avevo compiuto 17 anni. In seguito a una serie di eccessi giovanili, venni espulso dalla casa dello studente e andai a vivere nel Focolaio di san Fra Alberto a Stettino, un centro fondato da don Andrzej Dymer. Già quando mi accolse per la prima volta nel Focolaio, il sacerdote direttore mi ha chiesto di togliermi tutti i vestiti e di rimanere nudo per – come disse – poter effettuare un controllo igienico di routine. Affermava che era solito controllare nello stesso modo tutti i ragazzi che venivano ad abitare nel suo centro. Poi l’ho visto più volte venire nella grande sala da bagno comune, fermarsi sulla soglia della porta a guardare i ragazzi mentre si lavavano.

Un giorno assunsi una forte dose di farmaci. Quando leggermente stupefatto tornai nel Focolaio, il direttore mi fece venire nel suo studio per parlare, ed erano già le 10 di sera. Lui stesso indossava un pigiama. Cominció ad abbracciarmi ed a baciarmi. Mi fece cadere sul letto e cominció a sbottonarmi. E poi mi fece cose … Tutto questo in un’atmosfera di ricatto, poiché sapevo che potevo essere espulso dal focolaio.

Il giorno seguente raccontai l’avvenuto agli altri ragazzi. Dalla loro reazione compresi che anche a loro erano capitate situazioni simili. Ma quando venne fuori che parlavo male del direttore, gli insegnanti mi costrinsero a chiedere scusa pubblicamente davanti a tutti nel corso della prima colazione. Non riuscivo a dire una parola, scoppiai a piangere e scappai. Il giorno seguente dovetti fare la valigia e lasciare il Focolaio.

Per fortuna il direttore mi aveva messo in contatto con una parrocchia. Fu li’ che incontrai suor Miriam, un’egiziana, vergine consacrata, che mi offri’ un posto per dormire, un semplice materasso. Sapeva che ero stato espulso dal Focolaio ma non mi chiese nulla. Per alcuni mesi fu lei a prendersi cura di me. Fu quello un tempo durante il quale imparai a coltivare la fede e a pregare. Con suor Miriam ho conservato fino ad oggi una profonda relazione spirituale.

Due anni dopo decisi di entrare nell’ordine francescano. Come diacono, nel 2002, andai a trovare suor Miriam. Fu allora che lei mi chiese direttamente che cosa era accaduto nel Focolaio, dato che poco prima era venuta a conoscenza di alcune accuse nei confronti di don Dymer. Essendo lei cittadina americana si rendeva benissimo conto delle conseguenze disastrose che lo scandalo degli abusi sessuali sui minori aveva procurato alla Chiesa. In seguito suor Miriam ha più volte parlato del mio caso con i vari vescovi di Stettino. Ma senza alcun effetto.

Nel giugno del 2003 (poco dopo la mia ordinazione sacerdotale) venni contattato da un domenicano, Marcin Mogielski, fratello di quell’insegnante che mi aveva espulso dal Focolaio (che poi mi chiese scusa e fu il primo a denunciare al vescovo gli atti criminali del padre direttore, ancora nel 1995). Padre Marcin voleva raccogliere le testimonianze delle vittime di don Dymer e sottoporle all’autorità ecclesiastica. Mi persuase dell’opportunità di tale iniziativa che avrebbe potuto mettere al riparo altri dal nostro abusatore, che nel frattempo continuava a fare carriera dentro la Chiesa. Avevo fiducia nella giustizia della Chiesa.

Quando a Stettino testimoniai al processo canonico, un giovane sacerdote che faceva il notaio, si mostro’ profondamente turbato dalle mie deposizioni. “E dopo tutto questo, hai comunque voluto il sacerdozio?” – mi chiese in seguito. Si. l’ho voluto. E sono intimamente convinto di aver fatto bene. E Dio mi ha aiutato.

Feci la mia deposizione nel 2004. E poi niente, silenzio, silenzio completo. Ho cercato di capire qualcosa, ma nessuno mi voleva informare sulle sorti del processo.

Nell’Anno della Misericordia (2016) venni nominato dal papa missionario della misericordia. E continuo ad avere questo mandato fino ad oggi. E’ per me importantissimo poter essere un canale di misericordia per gli altri. Allo stesso tempo mi sono convinto sempre più di quanto la misericordia necessiti della giustizia e debba fondarsi su di essa.

Lo compresi ancora meglio quando nel 2019 venni convocato in giudizio dal mio abusatore, che sporse nei miei confronti una denuncia civile accusandomi di … diffamazione. Secondo lui avrei commesso questo reato nei suoi confronti, perche’ con una lettera interna indirizzata  al mio provinciale religioso nel 2017 chiedevo che mi fosse concessa assistenza giuridico-canonica, menzionando l’abusatore per nome. Non so immaginarmi un capovolgimento piu’ totale del bene col male come quello contenuto in quella denuncia!

A conoscenza di quella accusa, senza che cio’ provocasse la benche’ minima reazione, era l’attuale arcivescovo di Stettino Andrzej Dzięga. Fu lui del resto, a sostenere decisamente per lunghi anni il mio abusatore, affidandogli compiti di responsabilita’ per conto dell’arcidiocesi. Ahimè, nel 2017, alla cerimonia della benedizione di un ospedale ristrutturato per opera di don Dymer, fu persino capace di invitare il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il superiore dell’ufficio che già dal 2004 aveva avviato un processo canonico penale nei confronti di Dymer! In ogni caso, all’ultimo momento il cardinal Gerhard Ludwig Müller, trovandosi già in Polonia, reclino’ l’invito e non si fece vedere.

Al compimento dei 45 anni compresi di aver vissuto gran parte della della mia vita all’ombra di questa cosa. E’ da quasi 30 anni che vivo con questo peso. Una quindicina di anni tra interrogatori, convocazioni, udienze, esami, processi: e tutte le volte a soffrire un’altra umiliazione … Un giorno ho perfino buttato tutta la documentazione giudiziaria nel distruggi documenti, non volevo avere più niente a che fare con questa storia.

Ho deciso peró di uscire dall’ombra. Se la Chiesa che servo non ha saputo compiere un atto di giustizia per oltre un quarto di secolo, la giustizia deve essere aiutata in qualche altro modo.

In un primo momento ho sempre detto di no a tutti quelli che mi volevano convincere a raccontare la mia storia ai media. Continuavo ad avere fiducia nella giustizia della Chiesa. Nel 2020, per la prima volta ho raccontato la mia storia, senza nascondere il mio nome, a un famoso giornalista cattolico, Zbigniew Nosowski, che nel portale Więź.pl ha pubblicato una serie di inchieste giornalistiche dedicate alla causa di don Dymer, intitolandole, in modo significativo ed efficace: “Resisteremo, a anche a voi chiediamo di resistere”.

Nosowski ha ritrovato e pubblicato il dispositivo della sentenza con cui si era concluso il primo grado di giudizio nel 2008. Il tribunale di Stettino aveva infatti riconosciuto la colpa dell’imputato, ma le sanzioni a cui l’aveva condannato erano piu’ che altro simboliche. Si venne a sapere che don Dymer aveva impugnato la sentenza e che la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva affidato il processo in secondo grado all’arcidiocesi di Danzica. Purtroppo, il metropolita di Danzica mons. Sławoj Leszek Głódź per oltre 9 anni non ha neanche avviato il procedimento. Appena cinque giorni dopo la pubblicazione del primo articolo di Nosowski, che rivelava tali fatti all’opinione pubblica, il tribunale ecclesiastico di Danzica concluse la parte probatoria del processo di secondo grado.

Tre mesi dopo ho mostrato la mia faccia e reso pubblica la mia storia in un programma televisivo di Sebastian Wasilewski e intitolato “Il più lungo processo della Chiesa”. Ero sorpreso che un giornalista di una emittente laica iniziasse il suo film con la mia lettura della lunga visione di santa Faustyna Kowalska, di Gesù che abbandona gli ordini religiosi e le chiese.

Poco prima della messa in onda del programma, l’arcivescovo Dzięga fece dimettere don Dymer dalle sue cariche. Pochi giorni dopo don Dymer mori’. Il giorno dopo la sua morte venne alla luce che cinque giorni prima era stata emessa la sentenza canonica definitiva nella sua causa.

Ancora oggi però sono solo pochi privilegiati a conoscere il testo di tale sentenza. Tra di loro ovviamente non ci sono io. Un testimone, secondo la Chiesa, non merita nemmeno di essere informato di una sentenza passata in giudicato. Ho scritto delle lettere al nuovo metropolita di Danzica e al metropolita di Stettino. Mi hanno risposto che l’eventuale decisione di rendere pubblica la sentenza e’ di competenza del Vaticano. E il Vaticano e’ lontano …

*

Dal momento in cui ho subito l’abuso sono passati quasi 29 anni. Dai primi tentativi di chiarire il caso, 26 anni. Il processo penale canonico e’ durato 17 anni. Dalla sentenza canonica definitiva emessa nei confronti del mio abusatore sono passati piu’ di sei mesi. La sentenza c’e’, ma non e’ stata pubblicata. Quindi, fino ad oggi la Chiesa non ha in alcun modo confermato ufficialmente ne’ l’abuso che ho subito, ne’ la colpa del mio abusatore.

Durante tutti quegli anni sulla sede di Stettino sono passati tre vescovi. Nessuno di loro si e’ mai voluto incontrare con me.

Oggi racconto la mia esperienza in una conferenza internazionale organizzata dalla Commissione Pontificia per la Tutela dei Minori. Un invito che interpreto come una forma di riconoscimento non ufficiale della realtà dell’abuso che ho subito. Ma la mia Chiesa, la nostra Chiesa, la Chiesa di Gesù Cristo, non può dire chiaramente e pubblicamente con quale sentenza si e’ concluso il più lungo di tutti i processi canonici? Se non siamo capaci in cause come questa di riconoscere ufficialmente e di dire la verità, allora quale e’ la nostra credibilità nell’annunciare Gesù che e’ Via, Verità e Vita?

E non dimentichiamo che la mancata pubblicazione della sentenza da’ adito a ogni tipo di accuse. Nei miei confronti, sulle colonne di un giornale che si vorrebbe arcicattolico, “Nasz Dziennik”, sono stato accusato di essere un bugiardo collegato con una lobby omosessuale … Il testo della mia risposta non e’ stato pubblicato.

Dopo che ho deciso di parlare sono diventato io stesso un punto di riferimento importante per coloro che nella comunità della Chiesa sono stati in diversi modi vittime di abusi. Le storie che a volte mi capita di sentire, mi fanno raggelare il sangue. Vorrei tanto non dover ascoltare queste storie di donne e uomini cosi profondamente feriti.

Ma ancor di più vorrei poter dire loro che, si, e’ vero, ci si e’ approfittato di loro in modo brutale e strumentale, ma anche che nella Chiesa di oggi saranno trattati col rispetto che si deve alle persone. Purtroppo pero’ la mia esperienza non mi consente di nutrire tale convinzione.

Ci sono stati gia’ molti cambiamenti nella Chiesa, ma il ripetuto impegno di mettere le vittime al primo posto continua ad essere una semplice dichiarazione verbale che non ha riscontro nei fatti. Eppure l’autentico bene della Chiesa non puo’ coesistere con la menzogna, non puo’ permettere che si nascondano i rei e che le vittime non contino niente. In quelle persone e’ stato ferito il nostro Dio, quel Dio nel quale tutti crediamo.